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(it) Italy, FDCA: Alternativa Libertaria: Foglio AL Referendum (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Wed, 2 Jul 2025 07:25:56 +0300


"Meglio fare un solo passo con tutti i compagni nella via reale della vita che rimanersene isolati a percorrere centinaia di leghe in astratto" ---- ( Carlo Cafiero. Aprile 1882). ---- L'8 e il 9 giugno si svolgeranno le consultazioni del quesito referendario proposto dal partito Più Europa, insieme ad altre associazioni della società civile, sulla modifica della legge relativa all'acquisizione della cittadinanza, insieme ai quattro quesiti in materia di lavoro, proposti dalla CGIL. (vedi scheda) ---- In questa fase di pesante sconfitta del movimento dei lavoratori, che si protrae oramai da circa due generazioni, le ragioni dei quesiti referendari sono reali in quanto riflettono alcuni bisogni immediati della classe lavoratrice, per tanto crediamo che non ci si possa esimere dal loro sostegno e dall'impegno militante per il raggiungimento del quorum e per la vittoria del SI.
Ciò nonostante ci preme ribadire che la strategia referendaria rappresenta un cattivo surrogato di una reale mobilitazione che il gruppo dirigente sindacale deliberatamente non persegue, nonostante la disponibilità ancora manifestatasi nelle piazze e nei luoghi di lavoro, come in occasione dello sciopero generale del 29 novembre dello scorso anno, al quale non è seguita alcuna mobilitazione generale.
Abbiamo già criticato questa scelta da parte del gruppo dirigente del sindacato fin dal momento della sua indizione, in quanto elaborata e definita esclusivamente nel ristrettissimo gruppo dirigente nazionale e non frutto di una discussione collettiva e corale in tutte le istanze organizzative dell'organizzazione, seppure formalmente dirigenti, quali le Assemblee Generali provinciali regionali, così come in quelle delle singole categorie.
Tanto meno frutto di dinamiche sociali in cui l'ipotesi referendaria possa rappresentare un tentativo di allargamento del fronte di lotta a settori più larghi del movimento operaio organizzato.
I referendum, che possono solo cancellare un testo di legge, senza aggiungere nulla, sono rivolti a tutti i cittadini, non ai soli lavoratori, ed è questa una prima distinzione tutt'altro che marginale: centinaia di migliaia di lavoratori immigrati privi di cittadinanza, quelli che muoiono nei cantieri edili, nelle terre agricole del foggiano o della ridente Toscana per la raccolta dei pomodori e che sono le principali vittime delle leggi che si vorrebbero abrogare, non avranno accesso alle urne. Potranno e voteranno invece coloro che si avvalgono di quelle stesse leggi per sfruttarli.
Inoltre per validare la risposta referendaria, niente affatto scontata per i cinque SI indicati dai promotori, è necessario il raggiungimento del quorum di metà dell'intero corpo elettorale. Ciò significa che almeno 26 milioni di persone dovranno andare a votare, altrimenti il referendum verrà cestinato ed alla sconfitta politica si sommerà un danno economico notevole in quanto non sono previsti rimborsi.
In queste condizioni le chiavi della macchina referendaria sono nelle mani dei principali mezzi di comunicazione, dei padroni, dei partiti parlamentari e dello stesso governo, che già aveva palesato la sua intenzione di boicottaggio facendo svolgere la votazione referendaria nei primi giorni di giugno, l'8 e il 9 giugno, data del secondo turno delle elezioni amministrative che si svolgeranno a fine maggio, quindi a scuole chiuse e quando notoriamente scarsissime percentuali di votanti si recheranno alle urne per i ballottaggi. Posizione questa oltremodo confermata dalle forze governative, Fratelli d'Italia, Forza Italia e la Lega, che stanno sostenendo unitariamente, l'indicazione dell'astensionismo.
Ma al netto della posizione governativa e dei partiti di maggioranza i referendum hanno creato lacerazioni nella così detta opposizione, a partire chiaramente dal partito di Renzi, Italia Viva, regista e promotore del Jobs Act con il suo governo nel 2015, così come nell'altro partitino "padronale" di Calenda, Azione, che si schierano convintamente contro i quattro quesiti indetti dalla CGIL e in parte a favore del quesito sulla cittadinanza, così come nello stesso Partito Democratico, nonostante il posizionamento per i SI della segretaria Elly Schlein, dove la corrente dello stesso Presidente del Partito, Stefano Bonaccini, si schiera anch'esso contro i quattro quesiti referendari della CGIL ed a favore solo del quinto, quello sulla cittadinanza, aggiungendo "gesuiticamente" di non astenersi, ma di voler andare a votare e rifiutare la scheda degli altri quattro quesiti.
Anche sul fronte strettamente sindacale la CISL, oramai quinta colonna governativa, si schiera convinta per il NO a tutti i quesiti referendari sul lavoro, palesando sempre più la sua vocazione corporativa e collaterale alle forze governative.
In questo quadro sarebbe necessario, nella stessa CGIL, una sana e franca autocritica dei vari gruppi dirigenti passati e presenti che collaterali alle forze così dette progressiste e di sinistra hanno costantemente indebolito il tessuto solidaristico del movimento dei lavoratori e con esso le condizioni normative e salariali, quindi sociali, delle masse lavoratrici e delle nuove generazioni, rincorrendo e proponendo la continua mediazione tra gli interessi padronali e governativi.
Il costante richiamo alla "concertazione", all' "unità nazionale", così come ad una quanto mai vaga e pericolosa "codeterminazione" ha determinato quel pesante isolamento e indebolimento del movimento operaio organizzato che caratterizza l'attuale fase storica.
Sono stati infatti proprio i governi a guida PD o da questo sostenuti a infliggere i colpi più pesanti alla classe operaia in materia di legislazione del lavoro e delle pensioni: dalla legge Fornero con il governo Monti, allo smantellamento dell'articolo 18 ed all'introduzione dello stesso Jobs Act del governo Renzi, allora segretario del Partito Democratico, che oggi, con 10 anni di ritardo, si vorrebbe cancellare.
La strategia referendaria quindi non rappresenta quell'argine alla sconfitta e soprattutto non può rappresentare la strada della ricomposizione di quel blocco sociale composto da lavoratrici e lavoratori, da nuove generazioni, da pensionati e donne, al fine di una ripresa delle lotte e del conflitto di classe per rideterminare rapporti di forza necessari ad invertire l'attuale declino delle condizioni sociali delle masse lavoratrici e del futuro delle nuove generazioni, così come non potrà arrestare e sconfiggere quel processo di involuzione culturale che continua a penalizzare le donne riproponendo una cultura misogina e patriarcale.
Dopo lo sciopero generale del 29 novembre scorso, non si è portato avanti alcuna iniziativa unitaria, lasciando ancora una volta le singole categorie isolate. Non si è estesa la lotta dei metalmeccanici per un salario maggiore e per una reale riduzione d'orario alle altre categorie, quali i lavoratori e lavoratrici della scuola che aspettano ancora un rinnovo contrattuale, oppure al comparto dei lavoratori pubblici dove, anche se la CGIL non ha posto la sua firma al CCNL sbrigativamente firmato dai sindacati autonomi in compagnia della CISL, il governo ha chiuso comunque un contratto che non recupera nemmeno la metà dell'inflazione reale maturata negli ultimi anni.
La positiva parola d'ordine della "rivolta sociale" che il gruppo dirigente della CGIL indica non può passare attraverso un voto referendario lanciato in assenza di lotte e di protagonismo operaio e giovanile.
E' sufficiente ricordare i risultati di altre battaglie referendarie per capire che i referendum abrogativi in materia di lavoro si sono rivelati perdenti. Uno su tutti quello sulla Scala Mobile del giugno 1985 contro la norma che disponeva il taglio dei tre punti di Scala Mobile che il governo di Bettino Craxi nel febbraio dell'anno precedente aveva emanato.
A favore dell'abrogazione della norma si espresse l'ex Partito Comunista Italiano, che solo nel giugno dell'anno prima, alle elezioni europee, aveva effettuato il sorpasso con la Democrazia Cristiana, ottenendo il 33% (contro il 30% della DC), oltre a tutta quella consistente galassia di militanti, circoli, realtà politiche organizzate ancora presente della sinistra extraparlamentare, nata e radicatasi negli anni '70 del secolo scorso.
Con una affluenza del 77,9% il risultato fu di un 45,7% di favorevoli all'abrogazione della norma contro un 54,3%; di contrari e la norma, pertanto rimase. In quegli anni il movimento dei lavoratori e delle lavoratrici aveva già subito diverse sconfitte, la più grande quella della FIAT, la quale con altrettanta stupidità politica dell'oggi non si volle generalizzare, perdendo alla fine in maniera rovinosa e disordinata. Oggi il rischio reale con la possibile perdita o il non raggiungimento del quorum è quello di un boomerang per le sorti del movimento dei lavoratori e lavoratrici e per la stessa CGIL che non potrà che uscirne oltremodo indebolita.
A partire dai gruppi dirigenti centrali e periferici della CGIL e dai suoi quadri intermedi non c'è attualmente alcuna seria riflessione sull'opportunità di un "piano b" per cui, se la sconfitta dovesse manifestarsi, questa assumerà inevitabilmente un ulteriore significato di adesione, sia pure tacita, alle proposte governative, ponendo le basi per un'inevitabile sbandamento della classe lavoratrice verso le formazioni nazionaliste e xenofobe proprie della destra più retriva.
La questione di fondo che andrebbe bene compresa è che la competitività economica mondiale è a livelli parossistici oramai da oltre un ventennio ed i margini di miglioramento generale delle condizioni di vita delle masse lavoratrici sono sempre più ridotti.
Le realtà economica non offre più supporto per politiche redistributive, riformiste o keynesiane che siano. Il progetto di un capitalismo dal volto umano, spalleggiato per evidenti motivi dalle borghesie internazionali e fatto proprio dalle stesse organizzazioni politiche che pur storicamente si rifacevano al patrimonio ed alla storia della socialdemocrazia o ai vagheggiamenti euro comunisti, miseramente crollati all'indomani della loro stessa definizione, è miseramente fallito.
Il piano di riarmo previsto dall'Unione Europea, seppur non ancora definito nella sua reale essenza sta a indicare che la volontà e la necessità delle borghesie europee non stanno nello sviluppo di politiche sociali a favore delle popolazioni, attraverso maggiori investimenti e miglioramenti nella salute e nella sanità, nella prevenzione e nell'istruzione, nelle migliori condizioni sociali delle masse lavoratrici, ma nell'aumentare quelle spese per gli armamenti nel tentativo di ricomporre quel macabro equilibrio della deterrenza con altri poli imperialisti quali Usa, Russia e Cina, in una scellerata rincorsa verso una terza guerra mondiale.
Oggi per le classi lavoratrici vi sono redistribuzione della miseria, la socializzazione delle perdite, la diminuzione contrattata del potere di acquisto del salario, le guerre. Continuare nel rivendicare una strategia di concertazione con la controparte padronale e governativa proseguendo e rivendicando una collaborazione che nei fatti ha indebolito il movimento dei lavoratori, proponendo unicamente una linea referendaria, quindi non classista, rappresenta la prosecuzione di questo disastroso declino delle condizioni di vita delle masse lavorative.
La giusta strategia è quella di riprendere le battaglie di classe nei posti di lavoro, nelle scuole e nei territori per l'unità delle masse lavoratrici, delle classi sociali più deboli e subalterne le quali, per risalire la china della grave sconfitta subita, non possono che fare affidamento sulla propria forza unita e organizzata, sullo sviluppo della lotta di classe, sul reale avanzamento di una "rivolta sociale" unitaria che sappia mobilitare intorno a se settori e ceti quali le giovani generazioni e le donne e non le chimeriche urne politiche tanto meno quelle referendarie.
Impegniamoci per la vittoria del SI nei cinque referendum per non divaricare ulteriormente la sconfitta e per ricostruire quell'unità di classe indispensabile per le future lotte.
Indirizziamo il nostro contributo militante per un tale progetto, per una società di produttori liberi ed eguali.

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