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(it) Italy, Umanita Nova #24-25 - Il ritratto della salute. Per una nuova medicina del territorio (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Tue, 21 Oct 2025 07:53:03 +0300
LA CRISI DELLA MEDICINA GENERALE ---- La crisi della medicina generale
inizia già negli anni '50 - '60, ai tempi delle mutue, e si protrae fino
ad oggi con l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale nel 1978. Una
crisi di ruolo e di professionalità del medico generale che passa dalla
figura del vecchio medico condotto, esperto di tutte le arti mediche e
anche del territorio, alla figura del medico della mutua, poi di
famiglia, poi di base che vede ridursi la sua competenza alla cura delle
malattie più semplici e aumentare il suo carico burocratico. Oggi
l'ambulatorio del medico di famiglia, nella maggior parte dei casi e
salvo alcune lodevoli eccezioni, è diventato poco più di un ufficio
decentrato dell'ASL in cui si svolgono adempimenti burocratici e vengono
smistati i pazienti verso gli specialisti, gli ospedali e i vari esami
di approfondimento diagnostico. Tutto questo è stato ratificato
dall'assegnazione di un "budget", un tetto di spesa che riguarda sia la
farmaceutica che gli esami, ad ogni singolo medico, che viene così
qualificato come "ordinatore di spesa". Viene calcolata una media di
spesa a livello regionale, di ASL, di distretto e chi sfora di una certa
percentuale (circa il 20%) quel tetto viene chiamato a fornire
spiegazioni e, in certi casi, si vede costretto a restituire l'importo
di spesa ordinato in più. Ciò vale soprattutto per la prescrizione di
farmaci. Di questa crisi si è accorto anche il regime, per cui il
Ministero e i governatori regionali spingono, anche con incentivi
economici, per decretare la fine del medico di famiglia singolo e per la
formazione di poliambulatori distrettuali o di quartiere, strutture di
prima diagnosi formate da diverse figure sanitarie (medici generali,
guardia medica, eventualmente specialisti, infermieri ecc.) e con
l'impiego anche di un minimo di strumentazione medica
(elettrocardiogramma, ecografia ecc.). Ufficialmente questa svolta viene
giustificata dal fatto di voler sgravare i vari Pronto Soccorso dalla
diagnosi e cura della patologia minore, esigenza indubbiamente sentita.
Questa svolta però incontra diverse resistenze, sia da parte di una
classe medica abituata a gestire in proprio l'organizzazione (e i
profitti) del proprio ambulatorio e che vede nella nuova organizzazione
del lavoro, forse non a torto, una anticamera della dipendenza e
dell'aumento del controllo sul proprio lavoro, oltretutto organizzato 24
ore su 24, ma soprattutto richiede lo stanziamento di ingenti fondi per
la creazione di nuove strutture, fondi che evidentemente non ci sono. Le
prime esperienze di questo genere, avviate soprattutto in Veneto,
incontrano oggi grosse difficoltà perché la Regione ha sospeso
l'erogazione dei fondi. Oltre tutto c'è chi teme in tutto questo una
ulteriore spersonalizzazione dell'atto medico, cioè una perdita del
rapporto diretto medico/paziente sul modello di quanto già avviene negli
ospedali, come molte esperienze dirette degli ammalati possono
testimoniare. La crisi della medicina generale ha però un suo fondamento
strutturale che va fatto risalire alla parcellizzazione o frammentazione
dei saperi tipica della divisione capitalistica del lavoro, un processo
che gli operai di fabbrica hanno conosciuto bene almeno a partire dal
taylorismo, se non prima. Questa divisione favorisce, in campo medico,
la formazione di specializzazioni e ultraspecializzazioni, ovvero saperi
separati che finiscono per cancellare la visione unitaria (o, come si
dice, "olistica") della persona, e del suo stesso corpo, a favore di una
sua frammentazione. C'è lo specialista del cuore, quello del polmone,
persino quello del cervello e della psiche, e ogni categoria di
specialisti cerca naturalmente di tirare l'acqua al proprio mulino (dove
per acqua si può intendere anche flusso di denaro) e in questo giro di
valzer l'individuo, la singola persona ammalata, naturalmente scompare.
È esperienza pratica di medici e pazienti il passare da uno specialista
all'altro senza trovare una visione unitaria del processo patologico e
in tutto questo il medico di medicina generale finisce per diventare un
assemblatore di visioni parziali costruite da altri (un po' come
succedeva all'operaio della catena di montaggio, fatte salve le dovute
differenze di classe naturalmente).
IL P.N.R.R.
Rispetto al disastro della medicina del territorio, prima evidenziato,
il P.N.R.R. non promette, a una prima lettura, nulla di buono. Intanto
la sanità pubblica rimane comunque la cenerentola del Piano, che prevede
un finanziamento totale per la sanità di 20,23 miliardi, cioè un misero
8% del totale, quantificabile in circa 250 miliardi. Ciò è tanto più
preoccupante se consideriamo che il Documento di Economia e Finanza
(DEF) per il 2021, approvato il 22/4 dai due rami del Parlamento,
conferma i tagli alla Sanità Pubblica per il triennio 2022-24 per un
totale di circa 7 miliardi, oltre ad aprire la strada a una legge per
attuare l'autonomia regionale differenziata. Conseguentemente, il
rapporto fra la spesa sanitaria e il PIL decresce e si attesta, alla
fine dell'arco temporale considerato, ad un livello pari al 6,3%, quando
nel 2021 è il 7,3%. Dei 20,23 miliardi previsti la maggior parte, cioè
11,23 miliardi saranno destinati all'ammodernamento del parco
tecnologico e digitale ospedaliero con l'acquisto di strumentazioni e
tecnologie all'avanguardia per gli ospedali e una loro digitalizzazione,
per arrivare a sostituire tutto il parco delle grandi apparecchiature
sanitarie con più di 5 anni, per aumentare i posti letto di terapia
intensiva e ammodernare i Pronto Soccorso (4,05 miliardi). Inoltre è
previsto l'adeguamento antisismico degli ospedali (1,64 miliardi) e il
rafforzamento degli strumenti per la raccolta, l'elaborazione e
l'analisi dei dati, cioè il Fascicolo Sanitario Elettronico e la
telemedicina (1,67 miliardi). Una parte minore degli 11,23 miliardi,
cioè 3,87 mld, sono destinati alla ricerca e alla formazione del
personale. Da tutto questo è confermata la tendenza ospedalocentrica
della sanità, che già è stata all'origine di tanti problemi nel corso
della pandemia, ma puntare sulla centralità dell'ospedale all'interno
della struttura sanitaria è senz'altro funzionale alla concentrazione
dei profitti capitalistici nella sanità. Per ritornare poi alla medicina
del territorio la misera cifra rimasta per gli investimenti è di 9
miliardi, da cui però bisogna detrarre subito 1 miliardo e mezzo
destinato all'acquisto di vaccini e farmaci anti-Covid e ad assumere a
tempo determinato il personale sanitario impegnato nel contrasto della
pandemia, e altri 500 milioni per un non meglio specificato investimento
chiamato "Salute, ambiente e clima". Alla fine di tutto restano quindi,
per cercare di rimettere in piedi la disastrata medicina del territorio
solo 7 miliardi, che, nel Piano sono suddivisi in tre parti:
1) la prima è "rappresentata dalle "Case di Comunità", presidi
socio-sanitari destinati a diventare il punto di riferimento,
accoglienza e orientamento ai servizi di assistenza primaria di natura
sanitaria". Al di là del linguaggio roboante si tratta in sostanza dei
poliambulatori distrettuali o di quartiere di cui abbiamo parlato nella
prima parte di questo scritto e il cui bilancio è stato, fino ad ora,
fallimentare. Attendiamo al varco questo nuovo tentativo ma senza
riporre in esso eccessiva fiducia. Tanto per cominciare, "come
sottolinea l'ANCI, rispetto al vecchio piano il budget per le Case è
stato dimezzato, scendendo a 2 miliardi di euro, con la conseguente
contrazione anche del numero di presìdi che saranno realizzati (1.288
rispetto ai 2.500 originariamente previsti)". Cominciamo male!
2) i miliardi risparmiati sulle Case di Comunità sarebbero però
parzialmente assorbiti dall'assistenza domiciliare che infatti "vede
quasi raddoppiare gli investimenti (4 miliardi)". Non è chiaro se questi
soldi serviranno ad assumere il numeroso personale qualificato
necessario per la ricostruzione di una valida rete di assistenza
domiciliare per i malati cronici, i pazienti allettati o quelli colpiti
da infezioni virali, o se saranno ancora distribuiti ad enti privati e
cooperative varie accreditate per l'assistenza domiciliare e che mirano
ovviamente a far profitti sulla malattia. Staremo a vedere. Per adesso
si parla anche di progetti di telemedicina proposti dalle Regioni,
progetti che, pur avendo alcuni aspetti positivi, possono però condurre
a una ulteriore spersonalizzazione dell'atto medico.
3) la terza parte è rappresentata, infine, dalla realizzazione di 381
presidi sanitari a degenza breve (Ospedali di comunità) "destinati a
svolgere una funzione "intermedia" tra il domicilio e il ricovero
ospedaliero al fine di sgravare l'ospedale da prestazioni di bassa
complessità (investimento di 1 miliardo e realizzazione entro la metà
del 2026)". Lodevole intenzione, infatti i piccoli presidi ospedalieri
hanno un miglior rapporto con il territorio circostante, ne conoscono le
criticità sanitarie, quindi hanno più possibilità di effettuare una
medicina preventiva sul territorio. Il fatto è però che questi piccoli
ospedali esistevano già, ma la maggior parte di loro è stata chiusa, fra
le proteste della popolazione locale. Si verificherà effettivamente
questa inversione di tendenza? Ci sono molti motivi per dubitarne. In
conclusione, gli investimenti previsti dal P.N.R.R. per la sanità
pubblica, lungi dal prospettare una inversione della tendenza alla
aziendalizzazione e alla privatizzazione che ha caratterizzato gli
ultimi decenni di gestione della sanità, mirano ad accentuare queste
tendenze in maniera ancora più pesante.
IL PERSONALE, CIOÈ I LAVORATORI
Il Piano prevede che all'interno di ogni Casa di Comunità saranno
impiegati 10 medici di medicina generale, 8 infermieri e 5 unità di
personale amministrativo. Per le 1288 Case di Comunità previste saranno
quindi necessari 12.880 medici, 10.304 infermieri e 6.440
amministrativi, per un costo stimato di 661,5 milioni di euro solo per
l'assunzione degli infermieri e amministrativi. Queste figure
professionali dovranno essere assunte quando le Case di Comunità saranno
diventate operative a pieno titolo, cioè nel 2027. Il fatto è che il
PNRR non prevede risorse per il loro finanziamento, dato che il suo
effetto si esaurisce nel 2026. Si ipotizza che le risorse necessarie
saranno reperite attraverso una riorganizzazione dell'assistenza
sanitaria che dovrebbe produrre i risparmi necessari, ma, nella
sostanza, le risorse che dovranno finanziare l'assunzione di questi
lavoratori sono molto incerte, a meno che i medici di medicina generale
non vengano obbligati a fornire una parte del loro lavoro nelle Case di
comunità, come recentemente è stato proposto. A meno che non vogliamo
ipotizzare, come appare molto probabile, che i lavoratori necessari
vengano assunti con contratti precari, o ricorrendo al lavoro
somministrato da agenzie del lavoro, cosa ormai molto comune, secondo i
dettami già affermatisi nel deprecato "modello Amazon". Oppure
addirittura che la gestione delle Case di Comunità, costruite con denaro
pubblico, venga poi affidata ai gruppi privati, ormai dominanti nel
settore sanitario, secondo il famigerato "modello della Regione
Lombardia". In ogni caso il tanto decantato P.N.R.R. mira, nella sanità
come negli altri campi di intervento, a incrementare gli investimenti in
capitale fisso, che, nel nostro caso possono essere edifici,
apparecchiature elettromedicali o strumenti informatici per la
digitalizzazione dei dati, mentre, per quanto riguarda il lavoro (o
capitale variabile) non può che portare a una ulteriore flessibilità,
precarizzazione e supersfruttamento dei lavoratori.
LA FUGA DALLA SANITÀ PUBBLICA
È in atto una vera e propria fuga dei medici e degli infermieri dal
Servizio Sanitario Nazionale. In Piemonte, per esempio, l'Ordine dei
Medici fornisce queste cifre: tra il 2017 e il 2022 sono andati in
pensione circa 900 medici di base, mentre negli ospedali rispetto a
dieci anni fa ci sono circa 500 medici in meno, che scelgono di andare a
lavorare nel privato o all'estero. Nell'ultimo bando per l'assunzione di
personale infermieristico si sono presentati solo 800 persone, invece
dei 1000 previsti in partenza. La carenza di personale è soprattutto
evidente nei Pronto Soccorso: sempre in Piemonte, a Ciriè, nel Torinese
i medici arrivano a chiamata, in aereo e pagati a gettone, da una
cooperativa di Roma. In particolare, il personale che lavora nei PS è
sottoposto a un sovraccarico di lavoro e a orari prolungati, senza che a
questo corrispondano miglioramenti economici e organizzativi. I PS e gli
ospedali in generale sono sotto pressione a causa dello smantellamento
della medicina territoriale, in atto ormai da vari decenni e di cui
abbiamo più volte parlato. Su questo punto si avanzano forti dubbi sulla
destinazione dei fondi del PNRR, che dovrebbero riorganizzarla. Nel
frattempo, in Lombardia tutto ciò ha portato al taglio di alcuni nastri
di inaugurazione, peraltro in strutture già esistenti. A livello
nazionale i dati sono ancora più allarmanti. In dieci anni, tra il 2010
e il 2020, sono stati chiusi 111 ospedali e 113 Pronto Soccorso con un
taglio di 37 mila posti letto, mentre, nelle strutture ospedaliere,
mancano all'appello ancora 29 mila addetti, di cui 4311 medici. Inoltre,
a livello territoriale, sono privi di assistenza primaria almeno 1,4
milioni di cittadini. A causa di questa carenza di personale sono
aumentati i disservizi negli ospedali, come le lunghe liste di attesa e
la difficoltà a ottenere cure adeguate, e tutto ciò ha portato, come
rilevato anche dall'Istat, ad un aumento, seppur lieve, della mortalità
per tumori, per diabete, malattie del sistema nervoso e del sistema
circolatorio. Mentre aumenta il numero delle malattie croniche che
renderà necessario un livello maggiore di assistenza domiciliare.
A fronte di questo disastro ogni regione procede in ordine sparso senza
un progetto generale riguardante la sanità pubblica, e questo andazzo
sarà peggiorato dalla prevista legge sull'autonomia regionale. La
regione Calabria prevede di assumere 500 medici provenienti da Cuba,
mentre nell'ospedale di Mussomeli, in Sicilia, tre reparti su sei sono
chiusi, per cui le autorità locali hanno pubblicato un bando per
l'assunzione di dieci medici provenienti dall'Argentina. Intanto però in
Regione Lazio le strutture private convenzionate, rappresentate
dall'AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata) battono cassa,
chiedendo un aumento delle tariffe delle prestazioni sanitarie,
adducendo il pretesto dell'aumento delle bollette dell'energia. Quanto
sta avvenendo in Regione Lazio è solo uno dei tanti sintomi della
privatizzazione selvaggia in corso nella sanità ormai da diversi decenni
e che, anzi, ha subito una accelerazione nel periodo della pandemia da
Covid 19, poiché nelle strutture pubbliche, a causa dell'emergenza, sono
stati chiusi molti servizi e sospese milioni di prestazioni che,
naturalmente, sono finite per foraggiare il mercato privato. I dati
parlano di 1,36 milioni di ricoveri ordinari in meno, di 1,73 milioni in
meno di ricoveri in day hospital, mentre sul territorio sono state
erogate, nel 2020, 282,8 milioni di prestazioni in meno rispetto a dieci
anni prima.
LA MEDICINA DEL TERRITORIO
Come dicevo prima il regime si è accorto della crisi della medicina
generale ma, nelle sue proposte, non va oltre una rete di poliambulatori
o case di comunità che, ammesso che siano realizzati, potrebbero
garantire al massimo una diagnosi precoce delle malattie e una terapia
più tempestiva. Non è previsto che questi poliambulatori possano
costituire una rete di rilevazione dei fattori di rischio e di
prevenzione sul territorio. Le distorsioni e gli sconvolgimenti sociali
prodotti dal modello di sviluppo capitalistico e dalla sua crisi hanno
provocato un profondo cambiamento della geografia del territorio.
L'allungamento della vita media si è tradotto in un numero crescente di
persone anziane bisognose di assistenza. Le ASL hanno abbandonato
totalmente il settore dell'assistenza a domicilio, non disponendo più di
personale adatto alla bisogna e limitandosi ad erogare dei bonus o
voucher da utilizzare per accedere al mercato delle cooperative di
assistenza accreditate dalla Regione. Queste cooperative, debitamente
lottizzate (in Lombardia naturalmente ha prevalso la componente CL -
Compagnia delle opere, almeno fino a poco tempo fa), erogano assistenza
sanitaria a domicilio fidando soprattutto sullo sfruttamento della forza
lavoro impiegata, secondo i consueti canoni che regolano il sistema
degli appalti. Per altro verso l'assistenza domiciliare agli anziani
alimenta il fiorente mercato delle badanti, in genere extracomunitarie
soggette ai mille ricatti della loro condizione o, infine, il "business"
delle residenze sanitarie assistenziali con rette da 2500 euro mensili
in su. In ogni caso l'assistenza agli anziani è completamente delegata
al tessuto familiare o al privato sociale, con conseguente
smantellamento del welfare da parte dello stato. Crescono inoltre le
malattie croniche come ipertensione e diabete, dovute per lo più ad una
alimentazione scorretta e a cibi sempre più adulterati, o a stili di
vita potenzialmente patogeni legati a stress da lavoro, condizioni di
vita precarie, problemi economici, nuove povertà. Ogni disturbo generato
dal disagio sociale e psichico viene medicalizzato mentre viene
alimentata l'ingenua speranza che ogni problema possa essere risolto con
una miracolosa "pastiglia" (ricordo in proposito una canzone di Renato
Carosone, molto in voga negli anni 60). In tutta questa confusione
scompare la prevenzione. In campo medico si parla molto poco di
inquinamento ambientale e sui luoghi di lavoro, delle scorie chimiche,
delle malattie da onde elettromagnetiche (cellulari, antenne,
ripetitori, cavi elettrici ecc.), delle radiazioni nucleari (dopo
Chernobyl e la guerra in Jugoslavia con le bombe a uranio impoverito
gettate nell'Adriatico c'è stato un forte aumento delle malattie della
tiroide), delle malattie psichiche da stress lavorativo, da mobbing, da
rapporti sociali e interpersonali sempre più conflittuali. Questa
situazione è ulteriormente peggiorata a causa della progressiva
privatizzazione delle strutture sanitarie e quindi agitare l'obiettivo
di una sanità pubblica e gratuita è certamente giusto, visto che, se
guardiamo la questione dal punto di vista operaio, comunque stiamo
parlando di una parte consistente di salario indiretto. L'allungamento
della vita media si è tradotto in un numero crescente di persone anziane
bisognose di assistenza. Una vera medicina del territorio deve essere
principalmente preventiva e affrontare tutti questi problemi con
mentalità aperta, collegandosi a collettivi di quartiere, associazioni
ecologiche, a movimenti per una alimentazione più naturale ecc. operanti
sul territorio. Tutto questo comporta un profondo sconvolgimento delle
relazioni sociali e della cultura dominante che un capitalismo in
profonda crisi strutturale non sembra in grado di compiere. Sarebbe
necessario anche ritornare alle forme di autogestione della salute,
proprie del primo movimento operaio, che hanno ritrovato poi un nuovo
momento di esplosione nelle lotte degli anni 70. Vogliamo segnalare in
quegli anni le lotte contro la nocività in fabbrica, la formazione nelle
fabbriche dei gruppi omogenei di rischio che valorizzavano la
soggettività operaia contro la presunta oggettività dei tecnici sanitari
o medici di fabbrica. E poi le lotte dei collettivi femministi per
l'autogestione dei consultori, per la contraccezione e la libertà di
decisione delle donne sul proprio corpo e sulla propria salute, contro
il potere medico. È necessario però rilanciare le parole d'ordine che
hanno caratterizzato le ultime mobilitazioni del movimento di lotta per
il diritto alla salute "LA SALUTE NON È UNA MERCE LA SANITÀ NON È UNA
AZIENDA" per una medicina realmente preventiva e una sanità non più
fonte di profitti per capitalisti pubblici e privati.
Visconte Grisi
https://umanitanova.org/il-ritratto-della-salute-per-una-nuova-medicina-del-territorio/
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