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(it) Italy, FDCA, Cantiere #34 - Jaime Castillo Petruzzi - Storia di un guerrigliero Latino-Americano di Isabella Lorusso. (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Fri, 13 Jun 2025 09:03:25 +0300


Ho conosciuto Jaime Castillo Petruzzi nel carcere di massima sicurezza di Lima, il Castro Castro. Era il 2004 e vivevo in quell'affascinante paese andino da circa due anni. Ci ero arrivata nel 2002, con un progetto dell'ambasciata italiana per insegnare la lingua e la cultura italiana nelle università e negli Istituti di cultura. Dopo che il dittatore di origine giapponese Alberto Fujimori Fujimori, responsabile di massacri e di violazione dei diritti umani, si era dimesso via fax ed era fuggito in Giappone nel 2000, nel Paese si erano svolte le elezioni politiche generali. Aveva vinto il candidato di origine andina Alejandro Toledo. Durante il periodo di transizione durato pochi mesi, il presidente in carica Alberto Paniagua, aveva istituito un'importante commissione governativa che avrebbe avuto il compito di investigare la violazione dei diritti umani nel Paese. La commissione della Verità e della Riconciliazione nazionale. Dopo circa vent'anni di guerra civile fra lo Stato e i due gruppi guerriglieri più importanti, Sendero Luminoso di origine maoista e il MRTA, il Movimento Rivoluzionario Tupac-Amaru, di origine guevarista, il Paese contava circa 69.000 vittime, la maggior parte delle quali di origine contadina. Il presidente/dittatore Alberto Fujimori e il suo vice, Vladimiro Montesino, avevano creato un gruppo paramilitare chiamato Gruppo Collina. I suoi membri, appartenenti ai Servizi Segreti, avevano il compito di eliminare studenti e attivisti politici e sindacali. Oltre alle migliaia di persone torturate, uccise e "fatte scomparire", il Gruppo Collina si era macchiato di due importanti stragi: quello della università nazionale Guzmán y Valle La Cantuta, e "Barrios Alto". Come scrivo nel mio libro "Jaime Castillo Petruzzi. Storia di un guerrigliero latino-americano":

"Il 16 luglio del 1992 due bombe con 1000 kg di esplosivo erano state collocate in via Talara, a Miraflores, nel cuore del quartiere dell'alta borghesia limegna. Provocarono la morte di 25 persone, 155 ferite, la distruzione, parziale o totale, di 183 case, di 400 uffici e di 63 macchine parcheggiate nelle strade adiacenti. Il terribile attentato fu rivendicato dal gruppo maoista di Sendero Luminoso e, per tutta risposta, il gruppo paramilitare Collina, al servizio della dittatura di Alberto Fujimori, due giorni dopo, il 18 luglio del 1992, entrò nell'università Enrique Guzmán y Valle, la Cantuta, e prelevò nove studenti e un professore. Furono portati alla periferia di Lima dove i paramilitari gli fecero scavare la propria fossa e li uccisero con un colpo alla nuca, a sangue freddo. I loro corpi furono trovati, anni dopo, da un uomo senza fissa dimora che contattò un giornalista il quale riaprì il caso riportandolo all'attenzione dell'opinione pubblica. Anni dopo fu chiesta l'estradizione di Alberto Fujimori. Nel 2005, l'Interpool lo arrestò in Cile e, nel dicembre del 2007, lo estradò a Lima ove si aprì il processo contro di lui per crimini di lesa umanità. Fu condannato a 25 anni di reclusione sia per l'eccidio della Cantuta che per quello di Barrios Altos dove, il 3 novembre del 1991, furono uccise a sangue freddo quindici persone, tra cui un bambino di otto anni, colpevoli di organizzare una cena sociale per scopi umanitari".

In questo clima politico e sociale arrivai a Lima nel 2002, contattata dall'ambasciata Italiana. Il mio primo impegno fu quello di insegnare lingua e cultura italiana presso l'università di Tumbes, nel nord del Paese. Appena ci arrivai mi proposero di collaborare con la Commissione governativa che si occupava di denunciare la violazione dei diritti umani sulla popolazione civile. Entrai nel carcere di massima sicurezza della città con Jorge Omar Santa Maria Murillo, il Presidente della Corte costituzionale del Paese. Incontrammo e intervistammo vari militanti e simpatizzanti del gruppo maoista Sendero Luminoso. A me affidarono il caso di Josè. Era in carcere preventiva da più di dieci anni, perché un pentito, sotto tortura, aveva fatto il suo nome. Aveva dichiarato che José era un membro attivo del gruppo guerrigliero di Sendero luminoso e si era macchiato di vari crimini. Quando il pentito era stato rilasciato aveva dichiarato alla stampa che Josè era innocente e che lui aveva dovuto fare dei nomi a caso perché i militari smettessero di torturarlo. Nonostante ciò, José doveva rimanere in carcere perchè altrimenti lo Stato lo avrebbe dovuto indennizzare. Quando entrai nel carcere di massima sicurezza aprii un fascicolo sul suo caso. Mi raccontò delle torture subite e dei suoi dieci anni trascorsi in prigione attendendo un pocesso e una sentenza che non erano mai arrivati. Scrissi sul fascicolo la parola proibita a molti attivisti locali: INNOCENTE. Il presidente della Corte costituzionale mi disse «sei italiana, protetta dall'ambasciata del tuo Paese. Se mi presenti un fascicolo con su scritto INNOCENTE, non posso non considerarlo urgente. Tu fai il tuo dovere, io poi farò il mio». Detto fatto una settimana dopo José era libero e venne a trovarmi a casa. Ci abbracciammo come due grandi amici. Bevemmo qualcosa insieme e facemmo due chiacchiere. A quel punto José mi parlò di Julia, una sua compagna di studi. Era stata arrestata anche lei anni prima insieme a lui, con generiche accuse di appartenere al gruppo moista di Sendero Luminoso. Subito dopo l'arresto erano stati torturati nel carcere di Tumbes. Dopo avevano deciso di trasferirli, con altri prigionieri politici, al carcere di Trujillo. Vari camion carichi di poliziotti e di prigionieri, si mossero verso il sud del Paese. A un certo punto, in riva al mare, si fermarono. Presero Giulia con la forza, la strattonarono e, in rima al mare, la violentarono tutti, per ordine e grado. José, legato e bendato, sentendo le sue urla, cercò di andare verso di lei per proteggerla. Fu colpito da un colpo alla tempia dato con il calcio di un fucile e svenne «Giulia dove sei? Cosa ti hanno fatto?». Giulia aveva diciassette anni e amava i bambini. Dopo quel terribile stupro collettivo fu costretta ad abortire. Il giornalista che denunciò il caso fu subito licenziato e ricevette minacce di morte. Questo era ciò che succedeva in Perù, durante la dittatura di Alberto Fujimori Fujimori. Qualche settimana dopo andai a trovare Giulia. Viveva in una modesta casa alla periferia della città. Vista la crudeltà del caso non volli intervistarla. Ci incontrammo varie volte nel centro della città per fare due passi in riva al mare o per condividere un pasto caldo.

Dopo l'esperienza al super carcere di Tumbes, l'ambasciata italiana decise di trasferirmi all'università di Cuzco, vicino al celebre Machu Pichu. Ci rimasi un anno e, da quell'affascinante posto sulle Ande, visitai il Cile, l'Argentina, l'Uruguay, il Paraguay, la Colombia, il Brasile, l'Ecuador, la Bolivia. MI avventuravo in viaggi politici e culturali che duravano mesi. Lavorando presso l'università del paese avevo le vacanze "estive" da Natale a Pasqua, e le usavo per esplorare il continente. Gran parte della mia esperienza politica e personale la si può trovare nel mio libro "Trelew, storia di un viaggio nel Sud del mondo" pubblicato dalla casa editrice Sensibili alle foglie di Roma.

Nel 2004 fui poi trasferita all'univeristà Enrique Guzmán y Valle "La Cantuta" di Lima. Era proprio quella l'università famosa perché, nel 1992, lo squadrone della morte del gruppo Collina del dittatore Alberto Fujimori aveva prelevato nel cuore della notte nove studenti e un professore, e li aveva uccisi. Era ancora un'università altamente policizzata e fu meraviglioso lavorare con quegli studenti che lottavano per onorare i loro compagni trucidati dallo Stato. Ricordo, il particolare, il gruppo politico "Amauta", che si ispirava al poeta peruviano Cesar Vallejo e allo scrittore José Carlo Mariategui che aveva pubblicato il libro "Sette saggi di interpretazione della realtà peruviana" sul mondo contadino del Paese. A quel tempo a Lima lavoravo anche alla Scuola italiana Antonio Raimondi e all'Istituto di cultura italiana di Avenida Arequipa. Un giorno, il direttore del mio Istituto mi disse che c'era un accordo firmato tra l'Ambasciata italiana, il governo peruviano e il carcere di massima sicurezza Castro Castro, per insegnare la lingua italiana ai prigionieri politici di Sendero Luminoso e del MRTA. Ci volevo andare?

Non ci pensai due volte e, ogni sabato pomeriggio, mi recai, per quattro anni, al carcere di massima sicurezza del Paese. La maggior parte dei miei studenti erano membri del gruppo rivoluzionario Tupac-Amaru, gruppo che era ribaltato sulla stampa mondiale per l'assedio all'ambasciata giapponese nel 1996. Tra di loro incontrai Jaime Castillo Petruzzi, detto il "torito". Cileno e militante del MIR, il Movimento di Izquierda rivoluzionaria, a diciassette anni era dovuto scappare dal Cile dopo il colpo di Stato di Augusto Pinochet. Da Santiago si era rifugiato a Parigi, aveva studiato storia all'università La Sorbona Paris XII Vincennes e poi il suo gruppo politico, il MIR, aveva deciso di mandarlo a Cuba, per una formazione politico-militare come guerrigliero. Dopo tre anni di vita nell'Avana, era poi andato in Nicaragua, a combattere con i Sandinisti. Da lì era ritornato varie volte in Cile, per organizzare gruppi guerriglieri contro la dittatura di Augusto Pinochet. Dal Cile, in Perù come organizzatore politico del gruppo rivoluzionario Tupac-Amaru durante la dittatura di Alberto Fujimori. Era stato arresto nel 1993 e subito condannato all'ergastolo da giudici incappucciati al servizio della dittatura. Era stato portato nel terribile carcere punitivo di Yanamayo, vicino Puno. A più di 4.000 metri sul livello del mare i prigionieri politici non disponevano neppure di coperte per ripararsi dal freddo e dovevano dormire per terra, sul cemento. Quando nel 2000 il dittatore Fujimori fuggì dal paese e si dimise via fax, i prigionieri comuni e politici iniziarono uno sciopero della fame durato vari mesi per richiedere alla Corte Iberoamericana di diritti umani un nuovo processo. Alcuni di loro, da Yanamayo furono trasferiti al super carcere Castro Castro di Lima, dove ebbi l'opportunità di insegnare italiano e di conoscerli. Dopo 23 anni di carcere, Jaime fu finalmente liberato nel 2016 ed espulso dal paese la stessa notte. Essendo cileno, ritornò a vivere a Santiago con la sua compagna Maite e con i loro due figli.

Io e Jaime, sin dal nostri primo incontro nel 2004, rimanemmo sempre in contatto. Quando fu liberato, decidemmo di scrivere un libro insieme sulla sua vita.

Questo libro, dal titolo "Jaime Castillo Petruzzi. Storia di un guerrigliero latino-americano", è stato pubblicato in Italia dalla casa editrice Sensibile alle foglie. Jaime aveva un nonno italiano, di Oppido lucano. Grazie a lui ha ottenuto la nazionalità italiana e sarà fra qualche settimana in Italia, a Roma, Napoli, Taranto e Palermo a presentare il suo libro. È un libro intenso che parla della vita di un uomo che ha dedicato la sua vita a combattere contro diverse dittature in varie parti del mondo. Comunque lo si giudichi, vale la pena leggerlo.

http://alternativalibertaria.fdca.it/
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