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(it) Italy, Sicilia Libertaria: La condivisione dell'energia non passa dallo Stato (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Sun, 7 Apr 2024 07:50:26 +0300


Attorno alle comunità energetiche negli ultimi mesi si è rinnovato l'interesse, o sarebbe meglio dire sono tornati i timori. A creare un po' di maretta sono state, guarda caso, le istituzioni. La Commissione europea ci ha messo più di un anno per valutare il decreto ministeriale con il quale il governo Meloni avrebbe voluto finalmente cominciare a dare qualche indicazione certa. E dopo aver ricevuto la faticosa approvazione, il governo comunque ci ha messo altri mesi per scrivere un decreto di una decina di pagine dove le decisioni più importanti vengono rinviate. L'ultima novità in tal senso sono le 159 pagine elaborate dal Gestore Servizi Energetici a fine febbraio che indicano una serie infinita di adempimenti burocratici, formalità e prescrizioni da far girare la testa. Camurrie che mettono alla prova anche la persona più volenterosa e che svelano la reale volontà dello Stato: se volete condividere l'energia potete farlo, ma a modo nostro e senza intaccare i profitti di Eni e Snam e Terna, che sono in fondo anche i nostri vista la partecipazione azionaria che lo Stato detiene in ciascuna di queste aziende.

Andiamo per ordine. Sulle comunità energetiche negli scorsi mesi abbiamo già scritto, qui ci limiteremo a ricordare che la comunità energetica è composta da persone, enti pubblici o privati che producono, gestiscono e utilizzano l'energia di uno o più impianti di energia rinnovabile (solitamente fotovoltaico o eolico). Questa forma di autoconsumo avviene attraverso l'adesione volontaria a un soggetto giuridico, che è la condizione primaria per potere accedere ai benefici economici, vale a dire i 5,7 miliardi di incentivi previsti dal governo. Si tratta di un primo inghippo che non solo si scontra con la possibilità di adesioni informali ma che rende economicamente vantaggiose esclusivamente le comunità energetiche che aderiscono ai criteri statali. Altro aspetto problematico riguarda la natura in sé degli incentivi: più precisamente 3,5 miliardi di euro verranno garantiti tramite un incentivo in tariffa, che sarà finanziato con un prelievo sulle bollette elettriche di tutta la popolazione italiana, per garantire per 20 anni alle comunità una tariffa elettrica vantaggiosa; il secondo stanziamento, di 2,2 miliardi, arriva dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è un contributo a fondo perduto e servirà a finanziare fino al 40% i progetti per la costruzione degli impianti in Comuni con meno di 5mila abitanti. Anche su questo fronte si aprono delle crepe, finora taciute dai fautori senza se e senza ma delle fonti rinnovabili.

Premesso che la transizione energetica deve necessariamente poggiarsi su queste forme di energia, perché le comunità energetiche di pochi, diciamo pure molti se vogliamo essere ottimisti, devono essere pagate da tutti attraverso la tassazione diretta o indiretta? Perché non spingere affinché vengano pagate attraverso gli straordinari profitti speculativi ottenuti in questi anni dalle compagnie energetiche? In ogni caso dal decreto Milleproroghe del 2019, che accoglieva la direttiva europea REDII che per la prima volta introduceva le comunità energetiche, al decreto attuativo di dicembre 2023 e in vigore da gennaio, oltre alle regole operative del GSE, sono passati quattro anni e una lunga serie di decreti e delibere. Un lasso di tempo durante il quale le centinaia di comunità energetiche avviate in tutta Italia sono rimaste in attesa di capire come attivare gli incentivi statali e i fondi del PNRR stanziati in corso d'opera per il sostegno a progetti di autoconsumo. Con il risultato che la spinta propulsiva alla condivisione dell'energia si è nel frattempo un po' persa. E soprattutto viene comunque disciplinata dallo Stato, che infatti ha messo una serie di paletti che ne bloccano in parte le potenzialità. Ad esempio il vincolo dell'allaccio alla cabina primaria per i clienti finali e per gli impianti di produzione, o la grandezza massima di quest'ultimi (un megawatt), hanno fatto in modo che le comunità finora nascenti siano, e saranno, di grandezza medio-piccola. Non sia mai che si possa dar grossi fastidi a chi gestisce l'energia in Italia.

Così pure aziende come Enel, invece di osteggiare le comunità energetiche che in teoria avrebbero potuto intaccarne il dominio nazionale, si sono messe a fare da consulenza ai Comuni; i quali d'altra parte, in assenza di personale specializzato, si sono mostrati ben felici di delegare la complessa organizzazione, dimenticando che oltre alla convenienza economica in teoria la comunità energetica è incentrata sulla condivisione di un bene sempre più essenziale come l'energia. Inoltre su richiesta esplicita della Commissione europea non possono accedere agli incentivi le imprese in difficoltà, per via della normativa sugli aiuti di Stato. Non sia mai che lo Stato si metta a supportare l'economia reale, piuttosto meglio accollarsi i debiti di gestioni fallimentari come l'ex Ilva o l'ex Fiat - lì gli aiuti di Stato vanno bene per la Commissione.

Un altro aspetto sottovalutato e su cui le comunità energetiche potrebbero intervenire in maniera più ampia è quello della povertà energetica. Non a caso in una primissima formulazione le comunità energetiche rinnovabili erano note come CERS, cioè solidali. E così sono rimaste nell'accezione di alcune esperienze come quelle promosse da Legambiente a Napoli, della cooperativa ènostra e di altre realtà. Un'idea che invece si è persa nei provvedimenti giunti dal governo. Ecco perché a nostro avviso lo sforzo maggiore va posto sulla consapevolezza e sull'autorganizzazione. Per provare a spingere lì dove invece lo Stato si ferma.

Non sono pochi i Comuni che si stanno attivando, attratti soprattutto, al di là della retorica, dalla possibilità di ottenere grazie alla condivisione dell'energia gettiti extra con cui poter offrire qualche piccolo servizio in più, magari votato dalle stesse persone aderenti alle comunità energetiche. Tuttavia tale modello non risolve la centralizzazione del sistema energetico, semplicemente consente a chi ha i mezzi - gli impianti fotovoltaici, una casa di proprietà, gli strumenti culturali, la possibilità di seguire una pratica burocratica per anni - di ritagliarsi piccoli spazi di autonomia. Il vero perno delle comunità energetiche dovrebbe essere la produzione locale di energia, da fornire ad esempio a chi non può permettersi di installare un impianto fotovoltaico o chi è in affitto o chi manco ce l'ha una casa, liberando in ogni caso le persone dalle forniture di luce e gas da parte delle grandi aziende. È un processo lento ma necessario, in cui serve infilarsi nell'apertura parziale degli Stati per intaccare il modello oligopolistico delle fonti fossili.

Andrea Turco

http://sicilialibertaria.it
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