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(it) Italy, FDCA, Cantier #24: Il femminismo transnazionale e le Conferenze mondiali delle donne - Serena Fiorletta (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Wed, 3 Apr 2024 09:35:27 +0300


Ripercorrere la storia dei femminismi porta all'individuazione di tappe che meritano il soffermarsi della memoria e che passano alla storia come momenti importanti quando non di svolta. Alcuni però faticano a essere individuati come tali e spesso l'opera di comprensione e recupero avviene con difficoltà, allora diventa necessario interrogarsi anche sull'oblio o sulle complessità della trasmissione degli eventi. ---- Nell'indagare quello che viene definito femminismo transnazionale e le diverse forme che questo può assumere, si inciampa nelle Conferenze mondiali delle donne, organizzate dalle Nazioni Unite, tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Novanta. Le quattro conferenze, si svolsero a Città del Messico (1975), Copenaghen (1980) e Nairobi (1985), seguite dalla Conferenza di Pechino, nel 1995, la cui Piattaforma d'Azione è ancora oggi punto di riferimento per i diritti delle donne.

In questo contesto il femminismo transnazionale, ha creato un luogo fisico e simbolico di incontro globale che ha visto l'emersione di prospettive e pratiche che hanno portato a una messa in discussione femminista, attraverso la storia di un conflitto 'interno' che arriva sino ai nostri giorni. Se oggi si discute con maggiore consapevolezza di una parte di femminismo bianco che non ha saputo o voluto vedere altri femminismi e istanze, nonché le differenze tra donne, troppo spesso si ignora che una prospettiva postcoloniale e intersezionale venne agita prima della diffusione e del successo di questi termini. Lo studio delle Conferenze ci permette di osservare cosa è accaduto in anni solitamente considerati di declino del femminismo, in un contesto che a un primo sguardo potrebbe essere letto come un ambito solo istituzionale.

Innanzitutto bisogna sottolineare come la periodizzazione del femminismo in ondate ci ha spesso impedito di rilevare ciò che accadeva nei momenti meno evidenti di mobilitazione ma, soprattutto, non ha permesso di conoscere ciò che accadeva in paesi diversi da quelli occidentali. Di conseguenza sono sfuggiti dalle maglie della narrazione momenti essenziali per lo sviluppo di pratiche e teorie femministe condivise. Gli anni Ottanta sono infatti quelli in cui vari femminismi del Sud Globale, nonché il femminismo nero negli Stati Uniti, emergono con forza, non solo agita ma anche come critica e denuncia verso elementi strutturali di discriminazione, quali il colonialismo, il capitalismo, il neoliberismo ma anche verso un femminismo bianco, ritenuto egemonico, quando non esso stesso portatore di forme di discriminazione e stigmatizzazione. Non è quindi un caso che le donne di buona parte del mondo, forti di anni di intensa mobilitazione, fossero pronte a cogliere l'opportunità politica offerta dalle Nazioni Unite, capaci di dargli una direzione, così come di tessere relazioni transfrontaliere, d'altronde non era certo la prima volta. In breve tempo si organizzarono e parteciparono in massa alle Conferenze, creando dei Forum paralleli che divennero spazi transnazionali di confronto e azione. In sintesi, questi incontri internazionali hanno dato vita a uno spazio politico composito in cui hanno agito attori molto diversi tra loro, impegnati in articolate relazioni, quali l'Onu, gli Stati membri e un movimento delle donne e femminista che diventa protagonista riconosciuto di tali processi globali.

Non possiamo qui riassumere la storia di ogni conferenza (nonché di altri incontri internazionali fondamentali che si tennero in quegli stessi anni) ma le attiviste furono presenti in migliaia per manifestare la propria presenza, monitorare gli incontri, provare a incidere sulle posizioni dei rispettivi governi, fare pressione sulle Nazioni Unite. Ma, soprattutto, diedero forma a luoghi concreti dove avanzare richieste ed esplicitare necessità, dando vita a un soggetto plurale in fieri non facile da gestire.

La sorellanza universale, sino ad allora data per scontata da buona parte del femminismo occidentale, sulla base comune del genere di appartenenza, iniziò a vacillare, poiché le analisi e i temi portati dalle donne del Sud Globale non potevano portare a una alleanza che precedesse (e ignorasse) la realtà di ognuna. Secondo i rapporti, i resoconti e le testimonianze dell'epoca (1), la consapevolezza effettiva delle diverse prospettive, dell'irriducibilità dei posizionamenti e delle diverse culture politiche inizia a Copenaghen nel 1980 e prosegue a Nairobi nel 1985.

Come ci ricorda ManishaDesai (2), le conferenze mondiali delle donne e gli incontri nei forum paralleli, furono eventi sostanzialmente conflittuali che hanno visto attiviste di diversi paesi (molte non si definivano femministe) sfidare i concetti, le richieste e le priorità delle donne del Nord. La maggior parte delle donne bianche, ad esempio, non voleva affrontare questioni definite 'politiche', poiché avrebbero preferito presentarsi come un movimento saldo e coeso nel contesto descritto. Ma, andando a scavare nei documenti, scopriamo come tali istanze fossero vitali, in senso letterale, per molte delle donne presenti. Le questioni definite politiche e pertanto divisive erano infatti quelle portate avanti dalle sudafricane e dalle palestinesi che volevano fossero esplicite e condivise le rivendicazioni e le denunce delle discriminazioni e delle violenze quotidiane nella quali vivevano, nei termini chiari di apartheid e occupazione coloniale. Furono diverse le testimoni dell'epoca che alla fine della conferenza nella capitale danese espressero il timore della inutilità di questi incontri o dell'impossibilità di arrivare a una forma di comprensione reciproca, per non parlare dello scetticismo sul poter incidere sui processi governativi alla luce degli scontri interni all'attivismo stesso.

Il momento di svolta è alla conferenza di Nairobi, nel 1985, dove le donne arrivarono probabilmente con il desiderio di proseguire e trovare una forma di azione e possibilità di alleanze che tenessero insieme la complessità in cui si trovavano. Nell'area dedicata al Forum parallelo venne anche costruita una tenda della pace dove si svolsero aspre discussioni e confronti, una sorta di spazio dedicato alla esplicita accoglienza degli inevitabili conflitti.

Certamente protagoniste furono le attiviste dei paesi del sud del mondo che arrivarono a Nairobi numerosissime (anche grazie al fatto che la sede della conferenza fosse in una capitale africana) e le tante femministe nere provenienti dagli Stati Uniti. Sono loro che attraverso la presenza di corpi, analisi e richieste politiche agiscono una rottura, mostrando come il genere non possa essere più l'unico elemento che definisce la vita delle donne e la loro subalternità all'interno di diversi sistemi patriarcali. Lo fanno facendo emergere e nominando altre categorie sociali, come la classe, la "razza" (ovvero la razzializzazio ne), l'orientamento sessuale, la religione, etc., che vanno a definire, attraverso la loro intersezione, identità mutevoli, oppressioni e capacità di autodeterminazione. Le differenze tra le donne, le diverse prospettive politiche e la critica di una parte sostanziale del femminismo bianco, ritenuto anch'esso responsabile di alcune forme di esercizio di potere e di colonialismo, sono i nodi attorno ai quali si mosse la conferenza.

È in questa occasione che si formarono reti femministe transnazionali (3) di donne del Terzo Mondo (4) che attraverso questo tipo di organizzazione, hanno iniziato a definire pratiche condivise e linguaggi comuni, dando una nuova configurazione ai movimenti delle donne e femministi a livello internazionale. Uno dei "manifesti" punto di riferimento dell'epoca, che in realtà ha preceduto la Conferenza di Nairobi, inizia con queste parole: «Attraverso le nostre analisi e attività, siamo impegnate a sviluppare cornici e metodi alternativi per raggiungere gli obiettivi di giustizia economica e sociale, di pace per uno sviluppo libero da ogni forma di oppressione di genere, di classe, di razza e di nazionalità» (5). Scritto da Gita Sen e Caren Grown, è il proclama fondativo del Dawn Network, una rete tutt'oggi esistente. La messa in discussione di un femminismo predominante e che tale voleva essere, la presa di coscienza che i movimenti delle donne e femministi sono diversi e non sempre conciliabili, diventa agli incontri delle Nazioni Unite una prassi che consente possibilità di alleanze ragionate, volute e concrete.

In sostanza tra la conferenza del 1980 e quella del 1985, attraverso scontri, discussioni e ricomposizioni viene ridefinito, di volta in volta, un femminismo che ha proposto una prospettiva postcoloniale e intersezionale incarnata e poi teorizzata che, nel corso del tempo, è stato capace anche di incidere sulle politiche istituzionali.

Oggi questa complessità sembra far parte del presente, nella attuale e rivendicata necessità di parlare di femminismi al plurale e nel saperli riconoscere. Ma altrettanto importante è ricordare e raccontare quanto il processo sia stato lungo e altrettanto a lungo ignorato. I concetti densi che parole come intersezionalità e decolonialità portano con sé partono da lontano e non basta usarli come aggettivi, per esserne consapevoli o saperli agire. Si fece fatica all'epoca e forse si fa fatica ancora oggi, ad abbandonare uno sguardo sovente eurocentrico e avere una prospettiva più ampia che si faccia davvero globale, nella sua capacità di misurarsi concretamente con le sfide di una effettiva decolonizzazione dello sguardo, delle teorie e delle pratiche.

Note

1) R.Gaidzanwa et al., Reflections on Forum '85 in Nairobi, Kenya: Voices from the International Women'sStudies Community, Signs, Vol. 11, No. 3 (Spring, 1986)

2) M. Desai, Transnational and Global Feminisms, in The Blackwell Encyclopedia of Sociology, 2007, p.2

3) V. Moghadam, Transnational Feminist Networks: Collective Action in an Era of Globalization, International Sociology 15 (1): 57-85, 2000

4) Definizione comune negli anni che stiamo prendendo in considerazione e usato dalle stesse donne del sud del mondo, con l'intenzione esplicita di rivendicazione provocatoria nella denuncia della subalternità in cui erano costrette. Vd. anche l'uso di donna del Terzo Mondo nei lavori di ChandraThalpadeMoanthy.

5) G. Sen, C. Grown, Development, Crises and Alternative Visions. Third World Women'sPerspectives, MonthlyReview Press, 1987, p. 9

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