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(it) Italy, Sicilia Libertaria: Edito: Europa in guerra: avanti tutta! (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Fri, 22 Mar 2024 09:40:04 +0200


I ministri della difesa dell'UE si sono incontrati il 30 e il 31 gennaio scorsi a Bruxelles in via informale per discutere dei temi caldi del momento: guerra in Ucraina e crisi mar Rosso. Soffermarsi sulle dichiarazioni conclusive del vertice è piuttosto istruttivo. L'Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell'UE, Josep Borrell, che ha preso parte all'incontro, ha prima lamentato il ritardo con cui l'Ue invia le munizioni promesse a Kiev, confermato l'impegno ad addestrare altri 20 mila militari ucraini e poi ha detto: "l'Europa deve aumentare la sua capacità di difesa, oggi per difendere l'Ucraina, domani per difendere sé stessa". Da parte sua il ministro della difesa italiano si è compiaciuto del fatto che l'Europa finalmente è meno burocratica e sul sito del ministero si legge: "Finalmente ho visto un'Europa che si muove con tempistiche più veloci rispetto a quelle a cui siamo abituati: oggi, infatti, abbiamo discusso dell'avvio di un'operazione europea a seguito della crisi in Mar Rosso. Per l'operazione Aspides, l'Italia ha confermato la volontà di parteciparvi fornendo una nave per tutta la durata della missione. Nello specifico saranno più navi a turnarsi ed essendo una nuova missione vi sarà prima un passaggio parlamentare". Il ministro Crosetto nei giorni precedenti il vertice si era fatto intervistare dal quotidiano La Stampa, per perorare la causa del nuovo militarismo: "Abbiamo costruito - ha detto rispondendo ad una domanda - regole con l'idea di un mondo sempre pacifico, di nazioni che non invadano le altre, di guerre che non incidono sul benessere dei nostri cittadini. E invece ci ritroviamo in un mondo diverso, i cui attori che lo stanno destabilizzando, Iran, Russia e Corea del Nord, hanno una capacità produttiva militare superiore a quella della Nato". E ancora: "Sì, abbiamo trasformato le forze armate con l'idea che non ci fosse più bisogno di difendere il nostro territorio e che la pace fosse una conquista di fatto irreversibile. Le forze armate, in questo quadro, al massimo partecipano a missioni di pace, senza arrivare a scontri veri e propri. Ora i recinti sono stati abbattuti, non ci sono più regole". Pertanto il ministro - a questo punto della guerra - conclude che l'Italia per proteggere il proprio territorio e "intervenire in Paesi lontani per difendere gli interessi italiani", deve attrezzarsi militarmente, e nel caso specifico sarebbe necessario istituire una riserva militare. Questo in fondo è lo stesso concetto espresso più volte, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, in maniera diciamo più elegante da Lucio Caracciolo, il quale ritiene che in Italia non vi sia una sufficiente cultura militare.

Gli auspici dei ministri degli interni sono stati accolti l'1 febbraio dal Consiglio europeo che ha stanziato ulteriori 50 miliardi di euro per un piano di assistenza finanziaria all'Ucraina. Zelensky ha naturalmente ringraziato e il tutto viene visto come un altro passo verso l'integrazione dell'Ucraina nell'Unione europea. Da notare come buona parte dei media italiani ha presentato la faccenda: un doppio successo, "salvare Kiev" e ricondurre nell'orbita "democratica" Orban, il primo ministro ungherese da sempre critico nei confronti degli aiuti all'Ucraina, che adesso invece ha dovuto dare il suo consenso. In questo modo l'attenzione è stata catalizzata, non sulla inutile prosecuzione di una guerra che dopo due anni è ancora inchiodata allo stesso punto, riportando in auge le sporche guerre novecentesche combattute metro per metro e il cui unico risultato è la devastazione di interi territori e la conta di decine e decine di migliaia di morti, tra civili e soldati, ma sul successo dell'Europa democratica sull'Europa retrograda rappresentata da Orban, che corrisponde, secondo un parallelo rozzo ma efficace, allo scontro tra l'Ucraina democratica e la Russia autoritaria.

Intanto l'altro fronte caldo delle relazioni internazionali, quello iraniano, si sdoppia. Alla situazione del Mar Rosso, dove gli attacchi degli Houthi alle navi mercantili "occidentali" hanno trovato la pronta risposta di Usa e Gran Bretagna che bombardano postazioni e abbattono droni dei ribelli (a questa iniziativa si dovrebbe aggiungere, come si è visto, l'operazione Aspides, caldeggiata anche dall'Italia, sempre ligia a fare la guerra dove il padrone americano chiama), si è sovrapposto l'attacco condotto dal Corpo dei Guardiani della Rivoluzione islamica ad una base militare americana in Giordania. Anche in questo caso gli Stati Uniti hanno risposto con vari attacchi aerei alle basi di questi gruppi, i cui mandanti risiederebbero nell'Iran sciita, in Iraq e Siria. Biden dichiara di non voler fare la guerra all'Iran, ma intanto la situazione diventa sempre più incerta e la tragedia in corso a Gaza rende tutto più imprevedibile.

Certo Gaza e quello che accade in Palestina diventa ogni giorno di più insostenibile e inenarrabile, più di 25 mila morti finora, moltissimi bambini; gente inerme sottoposta a condizioni di vita estreme, tutto nella più totale indifferenza di governi, istituzioni, organizzazioni che sbandierano democrazia e solidarietà ad ogni vertice, ma in questa situazione mostrano più che impotenza accondiscendenza. Il dibattito pubblico in Italia ha poi dell'inverosimile, forse si dovrebbe dire meglio che è intriso di un cinismo moraleggiante rivoltante. Molta stampa, molta televisione, tantissimi politici, tra tutti spicca il ministro degli esteri, mostrano il volto buono della comprensione per il dramma dei palestinesi ma intanto sostengono e foraggiano il governo israeliano, a loro dire altro baluardo democratico nella selva oscura dell'islamismo illiberale. Nella narrazione mainstream sulla guerra in corso a Gaza c'è uno schema ben preciso: la sorte degli ostaggi israeliani, la perfida azione dei miliziani di Hamas - il cui apice è rappresentato dai famigerati tunnel (l'immagine del male che emerge dal sottosuolo) o dal mescolarsi coi malati negli ospedali -, le posizioni dei vari attori in campo e infine le condizioni miserevoli degli abitanti della Striscia, la cui responsabilità sembrerebbe di dovere attribuire ad un destino avverso se non ad un peccato da scontare. A questa narrazione si è aggiunta la sterile polemica in occasione della giornata della memoria; da più parti si è fatto credere che accusare di genocidio l'azione del governo e dell'esercito israeliani equivalga a negare la Shoah, o a manifestare comunque atteggiamenti antisemiti. Nel museo della memoria tutto si cristallizza, colpevoli e innocenti, vittime e carnefici vengono proiettati in uno spazio fuori dal tempo, dove quello che è accaduto è fissato per sempre e per sempre lontano da noi, monito e rituale apotropaico da esaudire per metterci al riparo e sentirci senza colpa, anzi custodi della verità.

Non credo ci possano essere prove più evidenti di come le politiche statuali si muovano oramai in un clima di guerra e di militarismo. Quel sentimento pacifista, retaggio del rigetto delle tragedie delle guerre mondiali, che ha resistito forse fino alla guerra in Iraq del 2003, oggi è del tutto cancellato. Ma se non vogliamo soccombere alle guerre (senza dimenticare la crisi climatica in atto), dovrebbe essere prioritario ricostruire una forte opposizione alla guerra che non potrà prescindere dal rifiuto di armi ed eserciti, dal rigetto del montante nazionalismo e dalla riproposizione di un nuovo internazionalismo, proletario se vogliamo.

Angelo Barberi

http://sicilialibertaria.it
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