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(it) Italy, Sicilia Libertaria #462 - LE RISERVE SICILIANE IN FIAMME (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Wed, 22 Oct 2025 08:44:13 +0300


Il segnale è inequivocabile. L'attacco mirato e accuratamente pianificato di questa estate alle principali e più sensibili aree protette della Sicilia ha un significato politico che va ben oltre il semplice dato criminale. Non si incendiano impunemente la riserva dello Zingaro, quella di Capodarso, il monte Cofano, le sugherete di Santo Pietro e di Niscemi, le oasi di Torre Salsa e di Vendicari, la Cava Grande del Cassibile e porzioni consistenti del Parco dell'Etna, senza voler offendere e intaccare, oltre al patrimonio naturale inestimabile che conservano, ciò ch'esse rappresentano: il frutto di anni di mobilitazioni dal basso per strapparle alla speculazione e alla rendita privata, all'immobilismo pubblico, al degrado interessato, per tutelarle, valorizzarle e consegnarle - in qualità di bene comune e gratuito - alla collettività.

Lo Zingaro, in particolare, è l'emblema di una lotta dura e partecipata, culminata nella grande marcia popolare del 18 maggio 1980 che, interrompendo la costruzione della strada costiera e le speculazioni immobiliari ad essa collegate, costrinse la Regione Siciliana a istituire con essa la prima riserva naturale siciliana.

Proprio il 18 maggio di quest'anno si sono celebrati i 45 anni da quell'evento, con una marcia rievocativa e varie altre manifestazioni, compreso il trasporto nella riserva delle ceneri di Franco Russo, pioniere dell'ambientalismo siciliano, morto pochi giorni prima. «Cenere su cenere» si direbbe oggi che della vegetazione (ma anche degli animali) presenti nella riserva non è rimasto praticamente altro: il 25 e il 26 luglio scorsi le è stato appiccato il fuoco, da una decina di punti d'innesco, in ore serali e con un forte vento di scirocco, distruggendo completamente 1300 dei 1600 ettari che, secondo gli esperti, potranno difficilmente essere ricolonizzati dalla biodiversità, dagli endemismi e dalle specie rare che li caratterizzavano.

C'è chi imputa la responsabilità degli incendi a gruppi criminali e affaristici presenti nel territorio e che da decenni si sono spartiti, indisturbati, le aree limitrofe alla riserva, impiantandovi centinaia di villette abusive, mega villaggi turistici e cave di marmo devastanti. Per dirla tutta, se quella del 18 maggio 1980 fu senz'altro la vittoria di un movimento nato dal basso per la difesa dell'ambiente naturale siciliano, essa è stata ben presto offuscata dal patto scellerato con personaggi equivoci stretto dalle amministrazioni locali per lo sfruttamento dei territori circostanti. Essi non avrebbero un particolare interesse a richiamare l'attenzione sui loro traffici a meno che ... i politici di riferimento non garantissero loro un qualche tornaconto: mediante, ad esempio, la riduzione dell'estensione e del numero delle riserve esistenti, la loro riperimetrazione - sanando gli edifici abusivi -, la liberalizzazione degli accessi (specialmente per i cacciatori) e delle licenze turistiche, la privatizzazione dei suoli residui a verde. Tutte cose che sono nei programmi del centro destra nostrano.

Il procuratore di Trapani, che per atto dovuto ha aperto un'inchiesta che finirà nel nulla, come altre in passato (non c'è da stupirsi: in fatto d'incendi, questa è la regola ovunque), non prova neanche a immaginare che dietro gli incendi possano esservi speculatori e mafiosi; ipotizza invece che ne siano responsabili degli improbabili sprovveduti che hanno contravvenuto alle prescrizioni del prefetto e alle ordinanze dei sindaci, i quali a loro volta sarebbero stati incapaci di far rispettare i divieti; mentre a favorire il divampare delle fiamme sarebbe stata l'ignavia dell'ente gestore della riserva - la Forestale -, accusata esplicitamente d'incuria e di mancate manutenzioni.

Dall'altra parte dell'Isola, anche la sughereta di Niscemi, per la cui salvaguardia si è tanto speso il movimento «No Muos», è stata in questi giorni ridotta a un paesaggio spettrale di scheletri fumanti. Il ridicolo tocca qui le sue punte più alte perché a farsi garanti della sicurezza della sughereta erano gli stessi militari americani che l'hanno invasa e in parte compromessa con le loro antenne di morte. Si trattava, come viene ribadito nel comunicato d'indizione della manifestazione tenutasi il 2 agosto in contrada Ulmo, «di una delle aree naturalistiche più presidiate e controllate» in Italia! E tuttavia è andata a fuoco. Probabilmente, dietro questo apparente paradosso, si nasconde una precisa volontà, quella di liberarsi una volta per tutte della sughereta, una presenza fastidiosa, che ha oggettivamente ostacolato e ostacola ancora il «mani libere» che gli americani vorrebbero avere in quel territorio, e che forze politiche e sociali, nazionali e locali, da tempo intenderebbero concedergli.

«L'incendio della sughereta si è sviluppato il 24 luglio, in piena stagione» - ricorda il comunicato del «No Muos» - «non ad aprile o maggio per cui non si erano ancora prese le dovute misure precauzionali. Quali sono gli interventi di cura e difesa del territorio e dei boschi attuati dalla Forestale e dal Comune? Perché non hanno funzionato? Chi sta tacendo la verità?»

A Niscemi come nello Zingaro, il principale capro espiatorio rimangono i lavoratori forestali. Poco importa se questi ultimi devono ai politicanti regionali il loro numero risicato, le loro inefficienze, la burocratizzazione, l'averli lasciati senza mezzi aerei di contrasto (due soli Canadeir disponibili in tutta l'Isola!), il ritrovarsi stranamente distratti nel momento in cui sono scoppiati gli incendi (nonostante vi fossero già stati dei fuochi «di avvertimento» negli anni precedenti) o ridotti a esigere un odioso balzello all'entrata per consentire loro - come recita un dépliant turistico - «di svolgere adeguatamente il lavoro di tutela della riserva e di prevenzione oltre che di spegnimento degli incendi» (sic!)

L'accusa ai forestali serve a coprire la vera matrice - politica - degli incendi di questa estate nelle riserve siciliane. È evidente che sono opera di personaggi e gruppi che hanno profondamente in odio le politiche ambientaliste, che nelle riserve (indiane, verrebbe da dire) hanno trovato in questi anni il loro ultimo rifugio, ovvero di esponenti della criminalità più o meno organizzata ispirati e forse sospinti a interpretare brutalmente, alla propria maniera, il messaggio «negazionista» del cambiamento climatico diffuso dalla destra al potere in Sicilia e nel resto d'Italia.

«Amici» della destra meloniana, questa vile gentaglia si esercita impunemente a violentare e ridurre in cenere i santuari della natura siciliana. Essa va contrastata politicamente e senza mezze misure, non delegando la lotta a organismi collusi o appositamente depotenziati, ma organizzando gruppi d'intervento autonomi e indipendenti dallo Stato, che riprendano l'iniziativa ambientalista sui territori con un programma il più possibile radicale: moltiplicare i beni comuni da tutelare, anche nelle città; ripristinare lo stato dei luoghi deturpati dall'abusivismo e dall'abbandono; allargare ed esportare all'esterno il regime di tutela che vige (dovrebbe vigere) nelle riserve; istituirne di nuove (allo Zingaro, per esempio, l'area marina che si progettava di ripristinare alla vigilia dell'incendio); denunciare apertamente il malaffare che si nasconde dietro il «negazionismo» dei governi di destra.

Natale Musarra

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