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(it) Italy, FAI, Umanita Nova #11-25: Il trono e l'altare. Ruolo e funzione del nazionalismo religioso (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Tue, 20 May 2025 07:39:55 +0300
La percezione di identità nazionale in questi decenni è cambiata. Il
fenomeno è del tutto evidente per molti di coloro che sono stati
coinvolti nei flussi migratori, sia su scala continentale che su
dimensione regionale: il concetto di nazionalità non è identificato nel
territorio di provenienza, ma coincide con quello di comunità di
condivisione culturale. In questo contesto nascono e si sviluppano
aggregazioni che fanno riferimento alla cultura e spesso, anzi
preferibilmente, alla religione. La religione offre ai singoli il
vantaggio di entrare a far parte di un insieme organizzato e portatore
di valori condivisi. Questo spiega, almeno in parte, il grande fascino
che il fondamentalismo, di qualsiasi tendenza, esercita su una sempre
crescente massa di persone. Non sempre una nazione o, meglio, le sue
classi dirigenti, vengono politicamente riconosciute come
rappresentative, anzi spesso sono percepite come nemiche, mentre la
religione appare spesso come l'istituzione più legittima, l'unica capace
di offrire modelli di comportamento validi ed alternativi e soprattutto
egualitari, comunitari. Il messaggio che si è tutti figli di uno stesso
dio è un potente appello egualitario, in gradi di realizzare il mito
della "nazione comunitaria", una nazione senza territorio ma con unica fede.
La religione con la sua forma organizzativa offre un cosmo del sociale,
un reticolo di luoghi sacri e spazi rituali, ma anche di centri di
comunità, associazioni, scuole, ospedali e opere pie. E questo è un
aspetto molto concreto.
Il nazionalismo religioso va oltre i confini di un territorio, arriva a
prendere la forma di uno scontro di civiltà, con il costituirsi di
grandi aggregazioni che fanno riferimento, nella costruzione della
propria appartenenza identitaria, non allo stato nazionale, ma alla
cultura e alla religione.
La religione ha infatti offerto un forte collante all'identità
collettiva, soprattutto nel sud del mondo, tanto più che ha permesso di
riconsolidare le comunità contro l'offensiva culturale del capitalismo
occidentale, identificato con l'ateismo. Ad esempio Hasan al-Banna,
fondatore della Fratellanza Musulmana, individuava nel capitalismo
importato dagli occidentali la «distruzione dell'Islam» grazie
all'imposizione di una «vita materialistica, con i suoi tratti
corruttori ed i suoi germi mortali». Il nazionalismo religioso estende
la logica istituzionale della religione e può apparire l'elemento di
coagulo di fronte alla frantumazione delle tradizionali appartenenze
nazionali, ricomponendo e ridisegnando confini e territori che
corrispondono alla geografia della diffusione delle comunità dei fedeli.
I campanili, i minareti o le sinagoghe segnano il "limes" delle nuove
nazionalità in cui la religione offre un forte collante all'identità
collettiva. Tutto ciò contribuisce a spiegare l'importanza che hanno
assunto nell'immaginario collettivo, dal punto di vista del nazionalismo
religioso, i luoghi sacri. Non a caso il conflitto israelo-palestinese
ha un suo focolaio tradizionale nella Spianata delle Moschee a
Gerusalemme, e di fatto la città è anche un nodo gordiano del
nazionalismo religioso. Se si deve indicare l'autentico confine tra
stato sionista e comunità palestinese, più che la striscia di Gaza, la
si deve indicare nelle poche centinaia di metri della spianata delle
moschee di Gerusalemme est, e del muro del pianto, dove si consuma un
conflitto che si vuole definire politico, ma che affonda le radici in
qualcosa che da secoli segna un profondo solco tra civiltà.
Il ruolo dei luoghi sacri come elemento di nazionalismo è evidente.
Pensiamo, per esempio, al Tempio d'Oro di Amritsar, dove i nazionalisti
Sikh, volendo ristabilire il loro regno nel Punjab, hanno insediato un
governo provvisorio, preso poi d'assalto dalle truppe indiane nel 1984
con più di 2.000 morti. In India i nazionalisti Hindu hanno vinto le
elezioni nel 1992 con la promessa di distruggere la moschea di Babri ad
Ayodhya, sorta secondo loro sul sacro sito del Ram Janmabhoomi, il luogo
di nascita del re Rama, il primo mitico sovrano che unificò l'India.
Non va inoltre trascurato che la religione prende spesso una specifica
forma di nazionalismo etno-culturale, tale da comportare anche
l'uccisione o l'espulsione di comunità differenti, la costituzione di
masse che rispondono a leader unici e carismatici, l'illusione di dar
vita a un'unica comunità in cui non esistano differenze, tutti omologati
nella stessa religione. Ne sono un chiaro esempio gli eccidi e le
violenze operate dall'Isis nei confronti delle comunità sciite, yazide,
cristiane o le pulizie etniche nei confronti delle minoranze alauite
siriane: si tratta di operazioni che rispondono alle stesse ragioni che
hanno portato all'eccidio dei musulmani in Bosnia, ovvero eliminare dai
territori della nazione tutti coloro che non condividono la stessa
identità etno-culturale religiosa.
Il nazionalismo religioso da elemento di coagulo è anche in grado di
produrre trasformazioni che possono portare alla creazione di uno stato
confessionale. Ne è esempio il mito della grande Israele, nata come
nazione laica, che si è trasformata in uno stato confessionale; lo
stesso vale per i palestinesi spostatisi su posizioni di integralismo
religioso. Ma ciò sta avvenendo anche in India, dove al nazionalismo di
Gandhi e di Nehru e alla loro concezione laica dello stato, si è
sostituita almeno in parte, una visione religiosa sancita dalla salita
al potere di partiti induisti. Precursore di questa tendenza è stato
l'Iran, dove il Khomeinismo ha significato il ritorno a una concezione
teocratica dello Stato, in cui non si parla di cittadinanza, ma di
appartenenza religiosa, in cui l'applicazione delle leggi coraniche
detta norme di convivenza e sostituisce il diritto civile.
I nazionalismi religiosi si sono sviluppati nel momento in cui le
economie sono divenute sempre meno nazionali, condizionate da reti
finanziarie e imprenditrici globali, incapaci di attuare in piena
indipendenza politiche economiche e sociali, e in cui perfino le valute
sono sfuggite al controllo dello stato. Il sentimento diffuso di
anti-politica che vivono le nostre società è anche fortemente legato
alla convinzione che la politica nazionale sia imbelle rispetto ai
grandi interessi globali.
Il nazionalismo religioso è stata la "soluzione", in particolare, per
quei Paesi che provenivano da dissoluzioni di unità imperiali o da
domini coloniali e che si sono ritrovati con un modello nazionale che
poco aveva a che vedere con le loro società di stampo tribale o
comunitario, in cui convivevano etnie, religioni e culture diverse. La
religione ha allora offerto un forte collante all'identità collettiva ed
ha in questo modo cementato la nazione, facendo coincidere il confine
territoriale non più con la cittadinanza o con l'etnia, ma con la comune
fede religiosa. In questo modo, si ripropongono le caratteristiche
proprie del nazionalismo, attraverso l'opera di definizione del noi in
contrapposizione all'altro. Se il pangermanismo e il panslavismo
definivano l'appartenenza in termini di sangue e di etnie, i
nazionalismi religiosi lo fanno attraverso la divisione tra sacro e
profano, tra bene e male. In questo modo definiscono i confini che
separano gli uni dagli altri, i fedeli dai miscredenti, i musulmani dai
cristiani e così via. Non importa che si viva tutti insieme sullo stesso
territorio e che si possa comunemente operare per il bene della propria
collettività. E così l'Isis, pur prefiggendosi di dar vita a uno stato
con propri confini, proprie istituzioni e simboli di riconoscimento, ha
cercato di assorbire persone e cittadini di altri paesi in un comune
disegno politico e in una comune appartenenza che superava i confini ed
era globale, poiché dall'America all'Africa, dall'Europa all'Asia,
ovunque ci fossero sunniti, c'era il richiamo del profeta e l'invito
all'azione per la patria comune. Egualmente Osama Bin Laden operava in
termini "globali", immaginava una Jihad mondiale rivolta contro ogni
tipo di infedele.
La religione insomma crea legami trasversali, contribuendo
all'affermazione dell'identità nazionale come identità religiosa.
D'altra parte nel corso della storia vi è sempre stato uno scambio
profondo tra nazione e religione: il nazionalcattolicesimo spagnolo ne è
l'esempio più lampante e la controrivoluzione franchista fa un paradigma
della politicizzazione del sacro e contemporaneamente della
sacralizzazione della politica. L'uso indistinto ed ambivalente, da
parte di Franco e della Chiesa, dei luoghi sacri e delle liturgie per
"santificare" i gerarchi falangisti e, viceversa, l'elevazione a
"martiri" dei religiosi giustiziati dai miliziani, non sono solo
l'epilogo di un triennio rivoluzionario e di una controrivoluzione, ma
la fine di un lungo percorso storico che aveva preso avvio all'epoca
della prima Crociata, ovvero l'unificazione della Spagna con la cacciata
dei mori dalla penisola iberica, e l'unità politica ottenuta nel segno
della croce, così come la conquista dell'impero delle "nuove Indie".
Allora si saldò per sempre l'altare con il trono, facendo dell'impero
spagnolo il campione del nazionalcattolicesimo che, con l'intreccio
delle dinastie e la presenza della Chiesa cattolica, governò buona parte
dell'Europa per circa tre secoli.
Daniele Ratti
https://umanitanova.org/il-trono-e-laltare-ruolo-e-funzione-del-nazionalismo-religioso/
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