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(it) Italy, UCADI #182: Politica agricola comune (PAC): i nodi vengono al pettine (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Mon, 18 Mar 2024 10:36:16 +0200
La crescente intensità delle manifestazioni degli agricoltori in tutti i
paesi d'Europa è indice di una crisi crescente dell'Unione che rischia
di travolgerla. Ciò che accade è la risultante di alcune scelte che
occorre prendere in esame per capire come correre ai ripari e superare
la crisi. Per capire bisogna risalire al progetto della leadership
attualmente al governo dell'Europa che ancora prima della crisi
pandemica valutava come un pericolo da affrontare il fenomeno
progressivo e crescente della globalizzazione. L'eccessivo peso della
logistica nelle dinamiche dell'economia aveva indotto ad una
riflessione, accentuata dalla pandemia, sulla insostenibilità delle
relazioni economiche tra le diverse aree del pianeta per come si erano
strutturate per effetto di una globalizzazione selvaggia e non
governata. La pandemia ha rivelato la debolezza strutturale del sistema
e indotto l'Unione europea a riflettere sugli effetti di una eccessiva
delocalizzazione produttiva. Da questa riflessione è nata la proposta di
adottare un nuovo sistema di relazioni economiche sintetizzato nella
formula della politica green e che noi preferiamo definire più
compiutamente "economia neocurtense".
Il passaggio all'economia neocurtense
Con questo termine definiamo uno dei modelli possibili di gestione della
deglobalizzazione; si tratta di un modo diverso e più articolato per
definire l'economia green, alla quale fa riferimento dell'Unione, perché
ricomprende alcune caratteristiche organizzative e strutturali che non
appaiono evidenti ponendo al centro pressoché esclusivo dell'intervento
sull'economia quello della transizione energetica. Questa strategia di
ristrutturazione produttiva e sociale, messa a punto in Europa, si
propone di superare il tema del fabbisogno energetico attraverso
l'adozione di un'economia green, ma prevede anche il parziale rientro
delle produzioni strategiche essenziali nel territorio dell'Unione,
ridimensionando l'incidenza della logistica nel processo produttivo e
facendo tesoro dell'esperienza maturata con la pandemia che consiglia di
non esternalizzare l'intero ciclo produttivo dei beni essenziali a
garantire i servizi e i bisogni essenziali al fine di mantenerne la
disponibilità.
L'economia neocurtense presuppone la costruzione di un modello
produttivo peculiare, che ingloba schemi produttivi di relazioni
economiche e sociali preesistenti e utilizza la coesistenza di modelli
di sfruttamento differenziati, fa convivere sistemi produttivi
"arretrati" tecnologicamente,come il lavoro a domicilio, con "isole"
produttive altamente tecnologiche e automatizzate.
Dal punto di vista della struttura sociale dello sfruttamento delle
risorse sul territorio questi aggregati produttivi, o "isole",
dovrebbero essere organizzate economicamente in modo da sottrarsi alla
notevole pressione fiscale esercitata dallo Stato, esternalizzano la
sede sociale dell'impresa, in modo da sottrarsi alle imposizioni fiscali
dello Stato, visto come depauperatore della ricchezza prodotta. La
natura spiccatamente di classe del progetto emerge dalla scelta di non
avere cura di distribuire il reddito prodotto sui territori, ma
limitarsi a promuovere la maggiore estrazione di profitto possibile.
Nell'economia neocurtense il territorio e la sua gestione rivestono
un'importanza fondamentale in quanto forniscono all'insieme di
consumatori e fruitori dei prodotti, distribuiti secondo livelli di
reddito differenziati, secondo uno schema articolato sui titolari e
destinatari di diritti censitariamente amministrati, ritenendo
fisiologica e tollerabile una quota percentuale di poveri assoluti. Il
mercato del lavoro è fortemente segmentato e comprende una fascia
ristretta di lavoratori impiegati nelle isole produttive che galleggiano
su un mercato del lavoro dequalificato, spesso costituito da popolazione
migranti, titolare di rapporti di lavoro precari e occasionali, incerti
e non garantiti, con salari di sussistenza al limite dell'indigenza.
Questi lavoratori sostengono il modello economico con il loro reddito,
anche se marginale, e con il versamento dei contributi sociali, ma
vivono una situazione precaria e possono essere espulsi in qualsiasi
momento. I produttori piccoli e medi, ma anche i titolari di
insediamenti a carattere multinazionale, preferiscono codeterminare e
sottomettersi alle forze locali che gestiscono uno specifico territorio
per sfuggire agli oneri di natura economica contratti verso lo Stato e
perciò alimentano processi di decentramento e delocalizzazione politica
e amministrativa.
Il progetto entra in crisi
Proprio quando il progetto stava per partire e le prime decisioni erano
state adottate dal Parlamento europeo in materia di politica green
esplode la crisi, pilotata e voluta, della guerra d'Ucraina. Questa
scelta strategica viene vista dai competitors internazionali dell'Europa
come un modo per sottrarsi alla concorrenza, il che costituisce un
pericolo per tutte le economie basate sull'esportazione e il commercio,
poiché il continente europeo rappresenta il più ricco e vasto mercato
del mondo ma, a differenza di quello statunitense, è contendibile.
Perciò per i tanti competitors dell'Europa comunitaria bisogna mettere
in crisi l'economia del continente, colpendola dove essa è più
vulnerabile: la disponibilità di energia a basso costo, garantita dai
rapporti di fornitura energetica con la Russia. Questa partnership va
spezzata, alimentando la conflittualità laddove le condizioni sono più
favorevoli: da qui il sostegno alle rivendicazioni ucraine e
l'inserimento della crisi irrisolta delle relazioni tra Ucraina e Russia
nel confronto internazionale, approfittando del fatto che il conflitto è
in stallo già dal 2014.
L'interruzione delle forniture energetiche non è la sola conseguenza
della guerra d'Ucraina, perché ad essa si aggiunge la necessità di
reindirizzare il bilancio dell'Unione europea e dei paesi che ne fanno
parte verso l'economia di guerra, dovendo necessariamente sottrarre
risorse ad altre spese, non ultime quelle necessarie a finanziare il
processo di trasformazione green dell'economia. Dalle ragioni su esposte
discende una crescita incontrollata nel costo dell'energia, con il
risultato che questa voce incide enormemente sul costo di produzione
delle merci ed è l'intero bilancio comunitario a dover essere
reindirizzato per provvedere alla fornitura di armamenti e munizioni
all'Ucraina, per sostenere le spese di uno Stato fallito e corrotto, per
accogliere i milioni di profughi che lasciano il paese sotto la minaccia
delle bombe e della guerra. Apparentemente nulla cambia e l'Unione
europea procede nel varo della politica green per la quale, tuttavia non
esistono più le risorse.
L'impegno nella guerra Ucraina
Oggi, i nodi vengono al pettine e l'intero sistema dell'informazione non
riesce più a mentire ed è costretto ad ammettere che dicevamo la verità
quando affermavamo che esiste una diretta connessione tra la guerra in
Ucraina e i sacrifici che essa comporta sul bilancio dell'Unione
europea. Le manifestazioni degli agricoltori che in tutti i paesi
d'Europa si ribellano contro la politica agricola comunitaria (PAC) sono
motivate dal fatto che sono essi chiamati a pagare i costi della guerra
perché al loro comparto vengono sottratte le risorse.
Infatti pur di reperire le risorse economiche occorrenti a finanziare la
guerra d'Ucraina, combattuta in nome della salvaguardia dei principi
dell'Unione, peraltro più volte violati negli stessi paesi che ne fanno
parte, si fa di tutto: lo scontro in atto viene presentato come la
difesa di un paese democratico, che democratico non è, ma è
un'oligarchia, in tutto simile a quella con la quale l'Ucraina combatte,
e cioè con il regime di Putin. I contendenti di questa guerra sanno bene
che le vere sole vittime del conflitto sono i popoli ucraino e russo,
chiamati a dissanguarsi sui campi di battaglia e ad affrontare le
conseguenze devastanti di un conflitto fratricida e che la difesa di
istituzioni democratiche è uno specchietto per le allodole. Lo si
comincia a vedere con chiarezza ora che il conflitto sembra aver
ottenuto gli obiettivi che i suoi veri sostenitori e sponsor
perseguivano , e cioè quello di mettere in crisi le scelte economiche e
di sviluppo dell'Unione. Sta accadendo infatti che la necessità di
reperire risorse, di fronte al venir meno probabile del finanziamento
statunitense che costituiva una parte rilevante dell'investimento
necessario alla guerra, diviene necessario reperire risorse da altre
poste di bilancio, tra queste da quello agricolo dell'Ue., dimenticando
che la PAC è stata alla base della coesione e del successo della
politica comunitaria.
All'opinione pubblica si racconta che gli agricoltori scendono in piazza
con i loro trattori per denunciare le restrizioni di bilancio, la
diminuzione dei finanziamenti a livello comunitario e statale, la
crescita delle imposizioni fiscali, si additano a causa delle loro
proteste gli effetti delle politiche ambientaliste e la riduzione della
superficie coltivabile, ma in realtà la situazione è ancora più
complessa poiché la scelta scellerata di manifestare la solidarietà
verso l'Ucraina creando "corridoi di solidarietà" per i suoi prodotti
agricoli per far fronte al blocco del commercio sul Mar Nero, ha
consentito agli oligarchi ucraini, proprietari dei terreni agricoli e le
multinazionali, di vendere le loro merci sul mercato interno europeo
,facendo concorrenza ai produttori comunitari e lasciando invenduti
parte dei loro raccolti.
Si è trattato di una concorrenza sleale perché non solo i commercianti
ucraini hanno guadagnato facendosi pagare le merci in euro, per loro
moneta pregiata, ma hanno venduto sul mercato prodotti, evitando i
severissimi controlli comunitari sui modi di produzione delle derrate
alimentari, applicate alle merci dei paesi europei, con il risultato che
è entrato in crisi il delicato sistema dell'economia agricola
comunitaria, con danni profondi ai bilanci degli agricoltori di tutti i
paesi d'Europa. Da qui le proteste e la richiesta di interrompere questi
trattamenti speculativi di favore verso gli ucraini, arginati con
ritardo da un numero crescente di governi, attraverso l'adozione di
provvedimenti protezionistici.
A tutto questo si è aggiunta l'abrogazione di una serie di misure di
sostegno previste dalla PAC che riequilibravano i costi di produzione
degli agricoltori, nonché restrizioni delle quote di terreno
coltivabile, l'imposizione di rotazioni quadriennali obbligatorie, che
hanno ridotto le capacità produttive delle aziende, approvato
l'abolizione dei dazi con il Mercosur il che ha creato una situazione
economica insostenibile nel rapporto prezzi di produzione - profitti,
mettendo sulle spalle degli agricoltori il costo della riconversione
green dell'economia e i costi crescenti della guerra.
È questo insieme di motivi che ha provocato la crisi della politica
agricola che coinvolge l'Europa ed essa sarà difficilmente risolvibile a
meno che i politici comunitari tutti, impegnati ad affrontare le
prossime elezioni, non decidano che il costo del sostegno all'ineffabile
istrionico partner ucraino è troppo alto da sopportare e che quindi
occorre rivedere gli impegni profusi nello sforzo bellico e arrivare
comunque e al più presto a una trattativa.
Assediata dai trattori la classe politica europea sembra aver dato
l'ordine "indietro tutta!" e sta ritirando molte delle decisioni
adottate, ma ormai le problematicità della politica agricola sono
esplose e riguardano la ridefinizione delle politiche di filiera,il
costo della grande distribuzione, il suo peso sul prezzo del prodotto
che annulla i profitti degli agricoltori, il rapporto tra grandi e
piccoli produttori, e tanto altro.
La Redazione
Vedi anche:
G. L., La rabbia contadina dei tedeschi, Newsletter Ucadi, gennaio, 2024;
La Redazione, Europa agricola e elezioni europee, Newsletter Ucadi,
novembre, 2023;
G.L., Il crollo del fronte interno in Ucraina, Newsletter Ucadi,
dicembre, 2023.
https://www.ucadi.org/2024/02/17/politica-agricola-comune-pac-i-nodi-vengono-al-pettine/
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